Maria Weber, docente di Politica comparata e Relazioni internazionali all’Università Bocconi di Milano, è l’autrice di questo importante volume, aggiornato nel 2003, che tratta numerosi profili d’interesse dello sviluppo cinese. Come i nostri Lettori avranno osservato, la Prof. ssa Weber apre, con una lunga e documentata intervista, questo numero della Rivista. Il tema, infatti, è di grande rilevanza in questa fase dello sviluppo internazionale, in quanto l’apertura al e del mondo asiatico vede emergere molteplici problematiche di non facile soluzione. Con questo lavoro, estremamente scorrevole ma anche molto puntuale nell’affrontare le tematiche urgenti, si fornisce un aiuto considerevole a quanti desiderino introdursi ad elementi di conoscenza della storia e della cultura cinese.
Nella parte iniziale del saggio, la docente milanese evidenzia a larghe pennellate la continuità storica tra la grande civiltà cinese – incardinata su un’etica che l’ha resa inconfondibile su tutto l’universo terraqueo – e i successivi sviluppi politici ed amministrativi. Riferisce infatti la Weber, che “i comportamenti sociali di questa immensa massa di persone sono ancor oggi largamente regolati dall’etica confuciana, che non ha plasmato soltanto la struttura burocratica imperiale, ma anche i comportamenti sociali di milioni di persone”. In particolare, riassume la docente, sono ravvisabili talune specificità culturali, quali: un forte spirito di appartenenza familiare o meglio di adesione al clan allargato della famiglia d’origine; una diffusa valorizzazione della gerarchia nella convivenza sociale; un senso quasi religioso dell’armonia sociale con la ricerca continua del compromesso, al fine di soddisfare il gruppo nel suo insieme più che il singolo individuo. Proprio per questo, anche dopo la presa del potere dei comunisti nel 1949 e la sostituzione ufficiale dell’etica confuciana con quella socialista, “l’influenza plurisecolare dell’etica confuciana è rimasta quasi immutata nell’improntare i comportamenti sociali”. Alcuni esempi delineano in maniera chiara l’importanza che ancora oggi rivestono la famiglia e la gerarchia sociale (come ad esempio il doversi sempre rivolgere al più anziano più che ai singoli componenti del gruppo, o l’importanza per i cinesi di dover sempre “salvare la faccia” – mianzi – per cui ogni critica deve essere rivolta alla persona in privato e non pubblicamente, se non si vuole una rottura definitiva).
Nella lettura degli eventi storici che hanno attraversato il grande Paese asiatico, dalla presa del potere dei comunisti ad oggi, la Weber individua poi dei cicli ricorsivi, per cui ad ogni cambiamento politico segue un periodo di transizione. Mediamente “la storia della Repubblica Popolare cinese può, quindi, essere divisa in cicli della durata media di quattro anni ciascuno, cui ha fatto seguito un anno di transizione”. Tuttavia, l’elemento principale di continuità che sembra reggere tutte queste fasi e che precede la stessa instaurazione del regime comunista, è la struttura verticista e centralizzata caratterizzata da uno stile decisionale di tipo autoritario. Infatti, aggiunge la Weber, “il sistema autoritario verticale, instaurato da Mao negli anni cinquanta e sessanta, trova analogia con il sistema imperiale anche nella sua struttura burocratica che rispecchia in pieno quella del mandarinato imperiale”. Pur nella continuità, i quarant’anni di storia della Repubblica Popolare cinese possono anche essere letti come anni di sforzi fatti dai gruppi dirigenti comunisti per trovare un equilibrio tra “stabilità politica e modernizzazione economica”. In tal senso, sottolinea la docente, pur essendo condiviso all’interno della leadership cinese il concetto di “una via cinese al socialismo”, sono sempre state presenti due ali contrapposte, una più ideologica e quindi radicale e una più pragmatica e quindi moderata. Ma nell’alternarsi delle successioni temporali prima descritte, è il 1976 l’anno di transizione per eccellenza. A distanza di pochi mesi muoiono i due padri fondatori della Repubblica Popolare cinese, Mao Zedong e Zhou Enlai. Dopo la breve vita della c.d “Banda dei quattro”, nel 1977 Deng Xiaoping torna al potere con un programma di modernizzazione economica “destinato a cambiare profondamente l’economia cinese”. Difatti, a partire dal 1978, tale programma introduce ampi spazi di libero mercato nelle zone rurali. Vengono create Zone economiche speciali (Zes) aprendo le frontiere agli investimenti stranieri e al commercio con l’estero. Ma i cambiamenti sono a 360° e così si riduce il controllo burocratico dell’economia affiancando un’economia di libero mercato a quella pianificata, e lanciando anche la politica del figlio unico (che riguardava però solo la maggioranza Han della popolazione cinese e non anche le minoranze etniche). Il 1979 è l’anno della “politica della porta aperta”, attraverso la quale si cerca di d’incentivare le relazioni economiche internazionali con le aperture agli investimenti esteri. Dato di estremo interesse il risultato di tale politica: tra il 1978 e il 1999 gli investimenti esteri in Cina sono pari ad un terzo degli investimenti esteri di tutto il mondo, con un tasso medio annuale di 40 mld. di dollari. Di questi, quasi due terzi provenivano da Paesi asiatici, soprattutto Hong Kong, Taiwan, Giappone e Corea del Sud.
Nel 1992 Deng pone le basi per una revisione profonda del modello cinese, che entrerà nel 1993 nella Carta costituzionale cinese, con il concetto di “socialismo di libero mercato” laddove “la Cina non praticherà più il modello di economia pianificata, bensì seguirà quello di economia socialista di libero mercato”.
Questo “ibrido ideologico” – o per altri versi quasi un ossimoro per quanti in Occidente legano strettamente il “libero” mercato al sistema “politico” liberale che ne tutela lo sviluppo attraverso la tutela delle libertà individuali fondamentali – si realizza invece in Cina in quanto gli strumenti economici, lungamente considerati come capitalisti, diventano ideologicamente “neutrali” e possono, altresì, favorire la crescita economica. “Il concetto di socialismo di mercato conquista così dignità costituzionale mentre il potere del partito, cui spetta la guida del processo di riforma, è salvo”. In questo senso, l’aspetto prettamente politico evolve verso una democrazia di tipo “Asian Style”, laddove, come è possibile leggere nelle parole della prof.ssa Weber che aprono questo volume di Per Aspera ad Veritatem, ad un autoritarismo di tipo verticale si sostituisce una nuova forma di autoritarismo di tipo orizzontale. Questo modello, che dovrebbe consolidarsi da qui al 2010, porterà ad una progressiva frammentazione del potere allargando, così, la base decisionale.
Per quanto concerne, poi, le relazioni internazionali, la professoressa Weber sottolinea l’ascesa inevitabile della Cina come potenza globale e la centralità della sua posizione negli equilibri asiatici, in particolare a seguito della sua entrata nel WTO. Secondo la docente, “il maggior coinvolgimento della Cina nell’economia mondiale mitigherà le tensioni ancora esistenti e faciliterà la soluzione di numerose dispute territoriali ancora aperte”.
Ma è nel quarto capitolo che la docente sviluppa ampiamente questo tema che forse, oggi, è gravido di timori per tutto l’Occidente e per l’Europa in particolare. Sarà la Cina il nuovo gigante economico del XXI secolo?
La docente snocciola i dati degli ultimi venti anni che hanno qualcosa di impressionante. Uno per tutti: tra il ‘79 e il ‘91 l’aumento del Pil reale annuo è cresciuto ad un tasso medio dell’8,6%. La docente entra poi nello specifico tra i diversi settori di produzione, anche geograficamante posizionati, che hanno, sì, una crescita diseguale ma anche un immenso mercato potenziale con il 21% della popolazione mondiale. Al di là delle precise indicazioni che provengono dai dati elaborati nel saggio occorre rimarcare come, secondo la Weber, l’incremento di efficienza dell’economia cinese si realizzerà, con tutta probabilità, nel medio lungo periodo, ed investirà della sua pressione competitiva soprattutto il resto dell’Asia. Inoltre, commentando il post crisi asiatica, sarà intenzione delle autorità cinesi riaggregare settori produttivi omogenei, attraverso una serie di fusioni e acquisizioni di partecipazioni, in quanto uno degli aspetti tipici della struttura industriale cinese è la sua storica parcellizzazione, con una miriade di piccole aziende, incapaci di collaborazione reciproca e di sfruttamento di economie di scala.
La docente esamina quindi una serie di tematiche connesse, quali quelle delle fonti d’energia, dell’inquinamento, del nucleare che tengono attualmente campo nelle agende di molte diplomazie, per le problematiche connesse che investono altri Stati (ad esempio il fatto che come Paese in Via di Sviluppo è concesso alla Cina un tasso d’inquinamento che diventa, da un punto di vista economico, fortemente lesivo per Paesi d’area concorrenti come il Giappone).
Nella parte finale del saggio, con una post-fazione, l’edizione del 2003 aggiorna la precedente rendendo conto di due eventi fondamentali: la posizione cinese dopo l’11 settembre – che l’ha vista assumere un atteggiamento responsabile e cooperativo nella lotta al terrorismo internazionale – e soprattutto il 16° Congresso del Pcc che ha sancito il passaggio del potere alla quarta generazione (dopo Mao, Deng e Jang Zemin) e che già nel suo programma rivelava un ambizioso progetto “Realizzare la società del benessere e creare un nuovo quadro della causa del socialismo dai colori cinesi”. Ma il dato veramente epocale è stato il ricambio generazionale senza precedenti: la metà dei membri del Cc è di nuova nomina, il 20% ha meno di 50 anni e 27 sono donne. Hu Juntao è il nuovo segretario generale e fondamentalmente la “cricca di Shangai”, filiazione di Jiang Zemin, è quella più politicamente influente con 7 dei 9 membri del Comitato Permanente dell’Ufficio politico.
In conclusione, lo scenario che offre la docente della Bocconi è quello di un gigante che si sta svegliando con grosse potenzialità, per se stessa, ma anche capace di offrire non poche opportunità di interscambio, non solo commerciale, con gli altri Paesi. Tuttavia, per noi occidentali che la osserviamo, molti nodi restano ancora da sciogliere, soprattutto a livello politico, e molti timori da fugare, soprattutto a livello economico.
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